L’Italia, rispetto al resto dei Paesi del G20, è in vetta alle classifiche negli Obiettivi 3 (Salute e benessere), 7 (Energia pulita ed accessibile) e 12 (Consumo e produzione responsabili) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite mentre risulta penultima per il Goal 14 (Vita sott’acqua) a causa dell’eccessivo sfruttamento della pesca. Gli Stati Uniti sono invece in fondo alla classifica nel Goal 1 (Lotta alla povertà).

E’ quanto emerge dalla ricerca sperimentale “Sdg20 – La misurazione dello sviluppo sostenibile nei Paesi del G20” (fatta al netto degli effetti della pandemia), presentata dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) nell’ambito del Festival dello sviluppo sostenibile.

Nella lotta alla povertà (Goal 1) la ricerca evidenzia “differenze legate non solo alla ricchezza di un Paese, ma anche ai modelli di welfare scelti: i Paesi Europei (Ue + Uk) mostrano la situazione migliore, insieme a Canada e Australia. Al contrario, gli Usa registrano, ad esempio, una quota di persone vulnerabili assistite inferiore al 31%; attestandosi come il 5/o peggior Paese del G20 rispetto a questo Goal. Per l’Italia non è stato possibile elaborare un indice composito relativo al Goal 1 a causa della carenza di dati”.

Quanto all’obiettivo 3, l’analisi ha evidenziato come i Paesi che registrano la spesa sanitaria maggiore pro capite presentano anche i migliori risultati dell’indicatore composito. Sono Australia, Italia (seconda in classifica), Canada, Giappone, Spagna, Regno Unito e Germania, cateterizzati da una maggiore speranza di vita alla nascita (superiore agli 80 anni), da minori tassi di mortalità infantile e di mortalità per le malattie non trasmissibili e per incidente stradale. Per il Goal 13, lotta ai cambiamenti climatici, sono state considerate le emissioni prodotte sul suolo nazionale e la stima delle emissioni indirette causate dalle importazioni di ogni Paese.

“L’analisi – spiega l’AsviS – ci restituisce una valutazione innovativa che penalizza i Paesi con una maggiore CO2 importata (come Uk, Australia, Germania e Canada) che altrimenti avrebbero registrato dei valori del composito decisamente più positivi. Riteniamo quindi che la misurazione delle emissioni indirette causate dalle importazioni sia un aspetto da approfondire con massima priorità, per attribuire le emissioni di CO2 ai Paesi che ne sono realmente responsabili”.

Realizzata grazie al contributo di A2A e Cibjo (World Jewellery Confederation), la ricerca su come e quanto i 20 Paesi più ricchi e sviluppati del mondo stiano rispettando gli impegni assunti sei anni fa, quando le Nazioni Unite vararono l’Agenda 2030, contiene mappe basate sui dati relativi all’ultimo anno disponibile di ogni indicatore elementare preso in considerazione e, in ogni caso, non sono utilizzati dati relativi all’anno 2020, quindi le valutazioni effettuate sono al netto degli effetti della pandemia.