Di campanelli d’allarme ne sono suonati parecchi quest’inverno, con la storica magra del Po a Torino, pioggia e neve quasi sconosciute al Nord, temperature miti, ma ora la sveglia è sonora per tutti. La crisi idrica in cui versa il fiume Po peggiora ed è grave. L’sos arriva esplicito dall’Osservatorio sulle crisi idriche riunitosi in seno all’Autorità distrettuale del Fiume Po-Ministero transizione ecologica (AdbPo-Mite) e già riconvocato per il 17 marzo per fare un nuovo punto dopo due perturbazioni attese.

Allarme e conseguenze:

Tutti gli indicatori dell’allerta idrica sono negativi contemporaneamente. A monte le cause sono i cambiamenti climatici col riscaldamento terrestre, la perdurante mancanza di neve, di pioggia, che generano grave aridità dei suoli, tra l’altro esponendoli più facilmente a incendi e dissesto idrogeologico, un progressivo impoverimento delle falde. Diminuendo le portate del grande fiume – dal quale si prelevano e distribuiscono ogni anno 20 miliardi di metri cubi di acqua necessari per agricoltura e industria – habitat ed ecosistemi rischiano di essere compromessi. 

Rischio agricoltura:


È già emergenza in Piemonte, ma la scarsità d’acqua si sta già riversando verso il Delta, dove l’acqua salata del mare si sta insinuando per chilometri nel bacino fluviale verso l’entroterra e le terre coltivate. Tra i dati più significativi quelli delle portate d’acqua del Po, 40% in meno e fino a -60% negli affluenti. Le precipitazioni sono così scarse che questo è stato il terzo inverno più secco degli ultimi 65 anni. L’entità del manto nevoso su tutto l’arco alpino è prossimo ai minimi e il totale dell’acqua così immagazzinata è del 70% inferiore sulla media stagionale. Soffrono i grandi laghi che hanno solo il 10% di acqua disponibile. Temperature superiori fino a 3 gradi sulla media rendono questo il secondo inverno più caldo degli ultimi 40 anni. Per Coldiretti la siccità del Po minaccia oltre un terzo della produzione agricola nazionale. 

Da dove prendere l’energia idroelettrica?


A rischio ci sono i fabbisogni idrici di un distretto come quello padano che da solo fa il 40% del Pil in agricoltura e il 55% del Pil idroelettrico. In un momento storico di forte crisi per gli approvvigionamenti energetici e di transizione alle energie pulite, per paradosso mancando acqua per le turbine idroelettriche dobbiamo compensare con energia prodotta dal gas. Con tariffe più care e con un problema in più sull’ambiente perché emettiamo ancora più CO2 in un territorio in cui la qualità dell’aria è già tremenda. «Fattori – spiega all’ANSA Meuccio Berselli, segretario generale AdbPo-Mite – che non ci fanno stare tranquilli. Dobbiamo accelerare nelle procedure di adattamento al cambiamento climatico. Che significa realizzare invasi laddove possibile, quindi dighe. Provvedere a investimenti con coraggio per invasi che possano fermare l’acqua» di cui avremo sempre più bisogno. Con la speranza che un’accelerazione su investimenti di questo tipo arrivi dalle risorse promesse dalPnrr.