Quando si parla di transizione energetica si pensa ad un cambiamento positivo per ambiente ed economia. Ma se tale processo non è ben governato rischia di portarsi dietro strascichi letali per il benessere di famiglie ed imprese. A sottolineare tale aspetto è la Banca d’Italia con un documento che approfondisce diversi temi legati alla finanza sostenibile e alla de-carbonizzazione intitolato “Banche centrali, rischi climatici e finanza sostenibile”. Di seguito un estratto dello studio.

“L’attenzione agli effetti economici dei cambiamenti climatici è elevata. Gli scenari più aggiornati delineano, nel corso del ventunesimo secolo, un ulteriore innalzamento delle temperature globali, con effetti sulla frequenza e sull’intensità dei fenomeni naturali estremi e implicazioni critiche per gli ecosistemi e la salute umana. Il legame tra attività umana e cambiamenti climatici evidenzia l’esigenza di rifondare il modello di sviluppo in senso sostenibile, a partire dal progressivo abbandono delle fonti fossili, che hanno finora garantito un benessere senza precedenti.

L’attività economica è al tempo stesso causa e vittima dei cambiamenti climatici. Ne è causa attraverso l’utilizzo di energia di origine fossile: tre quarti delle emissioni di gas serra sono infatti generate dalla combustione di energia. Al contempo, i cambiamenti climatici influenzano le attività dell’uomo: temperature medie sempre più elevate, con oscillazioni più marcate, vanno ad influenzare in modo crescente tutte le attività, a partire da quelle – come l’agricoltura – più esposte agli eventi naturali; fenomeni idrogeologici e ondate di calore più frequenti e intensi possono causare danni economici ingenti; l’innalzamento progressivo del livello dei mari mette a rischio le comunità costiere in tutto il mondo.

Le intese raggiunte dalla comunità internazionale, sancite dall’accordo di Parigi del 2015, richiedono un rapido percorso di decarbonizzazione volto a ridurre le interferenze con i processi naturali e mitigarne le conseguenze, limitando la crescita delle temperature entro gli 1,5-2°C rispetto ai valori preindustriali. Gli impegni dichiarati dai paesi a tal fine risultano in gran parte insufficienti e saranno rivisti nel corso della COP261. D’altro canto, la riconversione del sistema economico in senso sostenibile non è un processo immediato, anche per la sua natura globale, ed è esposto a molti fattori di incertezza. Per capire la strada da percorrere, è dunque necessario analizzare gli effetti che i cambiamenti climatici comportano per l’economia, e quantificare i rischi che potrebbero
materializzarsi – nel caso di una transizione disordinata verso un’economia low-carbon – anche nel breve periodo. Ai rischi legati alle manifestazioni climatiche future, definiti rischi fisici, si aggiungono i rischi derivanti dalla transizione stessa per quei settori e quelle economie che avranno più difficoltà ad adattarsi al nuovo paradigma basato sulla marginalizzazione delle fonti fossili, i cosiddetti rischi di transizione . Questi ultimi saranno maggiori quanto più la transizione non sarà governata e sarà frutto di decisioni intempestive e non coordinate a livello internazionale.

La comunità internazionale, negli ultimi anni, ha profuso un crescente impegno per fronteggiare i cambiamenti climatici; questo ha dato un grande impulso all’analisi dei rischi economici connessi, suscitando un forte interesse anche nel mondo della finanza: punteggi relativi ad aspetti di sostenibilità sociale, ambientale e di governance, già da anni elaborati per le attività quotate sui mercati da fornitori specializzati, hanno iniziato ad essere considerati attentamente dagli investitori a fianco delle caratteristiche economico-finanziarie delle imprese.

Negli ultimi anni la finanza sostenibile è cresciuta fortemente, configurandosi oggi come una vera e propria tendenza di mercato. Tale orientamento, potenzialmente benefico anche per stimolare la riconversione verso un’economia verde, non è tuttavia privo di rischi. Il primo tra tutti è quello del cosiddetto greenwashing, ovvero la circostanza per cui gli investitori finanzino attività i cui aspetti di sostenibilità siano soltanto apparenti. Tale rischio è accresciuto dalla mancanza di una tassonomia delle attività sostenibili che sia comprensiva e universalmente riconosciuta.

Gli aspetti economico-finanziari dei cambiamenti climatici, e in generale della sostenibilità, chiamano in causa le banche centrali. In prospettiva, infatti, la capacità di conseguire gli obiettivi delle loro attività istituzionali potrebbero risentire in modo sempre maggiore delle conseguenze dei cambiamenti climatici sull’economia. La politica monetaria è tra le attività che potrebbero registrare cambiamenti. Le politiche climatiche, modificando i prezzi dei prodotti energetici e l’incidenza che questi hanno all’interno del paniere di riferimento, potrebbero ripercuotersi sul tasso di inflazione; principale variabile obiettivo della politica monetaria. Inoltre, eventi climatici avversi, più intensi e
frequenti, potrebbero avere un effetto sul ciclo economico e, di conseguenza, sulla conduzione della politica monetaria. Inoltre, danneggiando imprese e banche, tali eventi potrebbero interferire nella trasmissione degli impulsi monetari, ad es. attraverso il canale creditizio; nel più lungo periodo, un progressivo aumento delle temperature potrebbe influire sulla produttività, incidendo sul prodotto potenziale.

In molte giurisdizioni, tra cui l’Italia, le banche centrali svolgono inoltre la funzione di autorità di vigilanza sugli intermediari creditizi e sul sistema finanziario nel suo complesso. Eventi climatici avversi sempre più intensi, che possono colpire diverse aree geografiche e numerosi settori economici, riducono la possibilità degli intermediari di diversificare i propri rischi e possono propagarsi all’interno del sistema finanziario, minandone la stabilità; nel contempo, una transizione disordinata potrebbe generare perdite diffuse tra gli intermediari, attraverso la loro esposizione ai settori carbon-intensive, con possibili effetti sistemici. Inoltre, essendo la banca centrale stessa un investitore, i suoi portafogli potrebbero essere soggetti a perdite, in mancanza di un’accurata gestione dei rischi finanziari legati ai cambiamenti climatici. Le banche centrali delle maggiori economie mondiali hanno iniziato a investire energie e risorse nello studio dei cambiamenti climatici e delle loro molteplici implicazioni. L’interesse diffuso per l’argomento ha portato alla creazione di un network internazionale, il Network for Greening the Financial System (NGFS), che coordina l’analisi di tale fenomeno secondo obiettivi e linee di azione comuni. Oltre a partecipare ai lavori del Network, la Banca d’Italia ha raccolto queste nuove sfide integrandole all’interno delle sue molteplici attività.

Attraverso progetti di studio interni e partecipando ai maggiori tavoli di lavoro a livello nazionale e
internazionale, contribuisce attivamente all’analisi dei rischi che i cambiamenti climatici comportano per l’economia e per il sistema finanziario. Inoltre, in linea con i recenti sviluppi della finanza sostenibile, ha iniziato a integrare criteri di sostenibilità nelle proprie decisioni di investimento. Il forte interesse delle banche centrali, unitamente al loro ruolo ed esperienza nell’analisi e nella politica economica, ha suscitato un dibattito circa la necessità di un loro più ampio coinvolgimento nella lotta ai cambiamenti climatici. In particolare, si discute della possibilità di ampliarne lo spettro d’azione per stimolare, mediante gli attuali strumenti di policy, la transizione verso un’economia a basse emissioni. Tale possibilità modificherebbe in modo sostanziale i compiti di una banca centrale. Da un lato, un loro atteggiamento proattivo contribuirebbe a ridurre i rischi che i cambiamenti climatici avrebbero per l’economia e, di riflesso, per la loro attività istituzionale; dall’altro, misure dirette a contrastare i cambiamenti climatici come, ad esempio, l’acquisto di specifiche categorie di “green assets”, potrebbero esulare dall’attuale spettro degli obiettivi istituzionali. Per valutare tali effetti, nel 2019 la BCE ha previsto che uno dei temi da approfondire nella revisione della propria strategia di politica monetaria fosse quello dedicato ai cambiamenti climatici. La possibilità, nonché la necessità, di includere il contrasto ai cambiamenti climatici nell’azione di una banca centrale, preservandone al contempo i compiti tradizionali, rimarrà una questione centrale nel dibattito economico dei prossimi anni.

Le banche centrali hanno la possibilità di svolgere un ruolo chiave per contrastare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici. Lo studio e la quantificazione di tali rischi possono infatti essere messi al servizio dell’intera collettività. Come investitori, le banche centrali possono costituire un punto di riferimento per le altre istituzioni e per la collettività, adottando scelte di investimento coerenti con gli obiettivi di decarbonizzazione e accrescendo la consapevolezza dei risparmiatori con programmi di educazione finanziaria alla sostenibilità”.