Quando si pensa alla transizione energetica si pensa al futuro, ignorando come il processo di conversione sia già in atto. Ma a che punto siamo in italia? A questa domanda ha provato a rispondere ’l’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano con la redazione del primo “Circular Economy Report”. I finanziamenti che la transizione verso l’economia circolare porta in dote a livello europeo sono sostanziosi: 454 miliardi di euro di fondi strutturali e di investimento per oltre 500 programmi in tutto il continente, più 183 miliardi di cofinanziamenti nazionali da parte degli Stati membri (637 miliardi in totale), cui si aggiungono i 26 a carico del bilancio dell’Unione Europea e i 7,5 dell’EIB-European Investment Bank dedicati al fondo europeo per gli investimenti strategici.

Senza considerare i 900 miliardi stanziati dalla Commissione Europea con il Recovery Fund per la transizione ecologica nel prossimo decennio, di cui l’economia circolare è uno dei cardini. Quanto all’Italia, oltre ai 4,24 miliardi di euro per investimenti pubblici stanziati con la Legge di Bilancio 2020 a favore del Green New Deal, in cui rientrano anche interventi di economia circolare, a giugno il MISE ha avviato il finanziamento alle imprese per la riconversione delle attività produttive verso un modello circolare: 157 milioni di euro in finanziamenti agevolati e 62,8 in contributi alla spesa. Non molto, ma un primo passo.

Utilizzare al meglio tutto questo denaro è certamente una priorità. “Con il Circular Economy Report inauguriamo un nuovo filone di ricerca in cui è stato decisivo il contributo delle nostre aziende partner – spiega Andrea Chiaroni, vicedirettore dell’E&S Group e curatore dell’indagine -. Capire di cosa realmente si stia parlando (non del ciclo dei rifiuti, per intenderci, che è solo la parte finale e a minor valore aggiunto del processo) è determinante e chiarisce immediatamente che in Italia la vera economia circolare è ancora di là da venire e richiede un tempo e un ammontare di investimenti ben più significativi di quanto oggi sia in campo. La Circular Economy non è la panacea di tutti i mali, la miglior soluzione possibile per ogni settore, ambito di consumo o attore in gioco. È un percorso lungo e complesso, che però occorre intraprendere: dall’inizio del ‘900 la popolazione mondiale è cresciuta di 4,5 volte, il consumo di risorse naturali, invece, di quasi il triplo”.
 
L’economia circolare nel contesto industriale
Per misurare la sensibilità del nostro sistema economico verso il passaggio all’economia circolare, senza pretese statistiche, l’E&S Group ha condotto un’analisi dettaglia coinvolgendo oltre 150 imprese in 4 macro-settori industriali: “Costruzioni” (opere di ingegneria civile o lavori di costruzione specializzati), “Automotive” (progettazione, costruzione e vendita di veicoli o componenti), “Impiantistica Industriale” (realizzazione di apparecchiature elettriche o macchinari destinati all’industria), “Resource & Energy Recovery” (recupero e smaltimento di rifiuti biologici, gestione di impianti per la produzione di energia elettrica attraverso biomasse). Per ciascuna impresa, in ciascun settore, sono state analizzate le “pratiche” di economia circolare adottate, le barriere incontrate e i driver che invece ne hanno favorito la diffusione: il 62% delle aziende intervistate ha implementato almeno una pratica di Economia circolare o ha giocato un ruolo di supporto ad altre imprese nelle loro iniziative circolari (10%). Nel restante 38%, il 14% ha già chiara la volontà di adottare almeno una pratica di economia circolare nel prossimo triennio, mentre solo il 24% del totale si è dimostrato indifferente al tema. Cifre che potrebbero destare un cauto ottimismo. In realtà, proprio le imprese più attive sono le prime a riconoscere che la strada da fare è ancora lunga. Il settore “Resource & Energy Recovery” è quello che attualmente si colloca in posizione migliore rispetto agli altri, mentre le aziende dell’“Automotive” appaiono (e si percepiscono) come maggiormente legate a logiche di tipo lineare all’interno dei propri processi.
 
Tipi di attività

Quanto ai tipi di attività, si è adottato soprattutto il “Design for Environment” (intervenire sulla ri-progettazione dei prodotti e dei processi è il primo fondamentale tassello), mentre solo circa un terzo delle aziende ha introdotto pratiche relative al “Design for Remanufacturing/Reuse” e ben poche sono arrivate sino al “Design for Disassembly” e soprattutto alla messa in atto di sistemi di “Take Back”, ossia di recupero delle materie e dei componenti dai clienti finali. Siamo ben lontani quindi dal poter affermare che in Italia (per lo meno nei settori presi in esame) sia diffusa l’economia circolare, anche se il processo di trasformazione si è messo in moto.
 
Driver e barriere
Ma quali sono i fattori che hanno spinto le imprese all’adozione di pratiche manageriali per l’economia circolare? Certamente la presenza di incentivi per realizzare gli interventi necessari e di leggi o regolamenti a supporto della transizione, tuttavia appare fondamentale la “visione” manageriale e imprenditoriale. Quanto invece alle barriere, le più significative sono risultate l’incertezza governativa, che non agevola le aziende nella valutazione di decisioni strategiche, i costi d’investimento e le tempistiche associate alla realizzazione di interventi da sostenere per l’adozione delle pratiche circolari.