Laddove ogni anno finiscono in mare 8 milioni di tonnellate di plastica, una questione urgente di cui si è discusso nella prima giornata di Ecomondo & Key Energy (Rimini, 26-29 ottobre) è proprio la necessità di trovare via nuove per lo smaltimento. Il Comitato Tecnico Scientifico di Ecomondo e CINEA (Sustainable Blue Economy Unit) hanno organizzato una discussione sulle opportunità offerte dagli impianti di pirolisi (ndr: processo di decomposizione termochimica mediante calore) per la conversione dei rifiuti marini di plastica in sostanze chimiche. Al dialogo hanno preso parte innovatori, autorità locali e portuali, legislatori così da discutere anche delle barriere burocratiche che ostacolano queste nuove tecnologie.

Inquinamento superficiale e profondo

Si è parlato di blue economy e del tentativo prima di tutto di ridurre, poi di riciclare, i rifiuti che inquinano mari e oceani. Tra gli obiettivi del programma di ricerca e innovazione europeo Horizon Europe vi è il monitoraggio dell’inquinamento dei mari, che a livello superficiale viene realizzato tramite satelliti. In profondità invece è più complicato mappare i rifiuti, per questo nascono progetti innovativi come MarGnet, conclusosi nel 2020 e portato avanti da Maelstrom. A parlarne la ricercatrice Santina Marcato: «Ci occupiamo di distinguere i rifiuti depositati sui fondali marini, anche attraverso le tecnologie del suono, per poi arginarli. Nel mar Adriatico abbiamo installato una piattaforma fluttuante che raccoglie la spazzatura dal fondo, in Portogallo creeremo una barriera per impedire che i rifiuti vadano dispersi nell’oceano, dove diventa quasi impossibile raccoglierli». Mare e spiagge puliti significano anche turismo. 

Riciclaggio chimico della plastica

Dopo la raccolta, c’è il tentativo di riciclare chimicamente la plastica marina: di questo si occupa la Sintol, progetto di recupero della plastica non riciclabile meccanicamente attraverso pirolisi. «I rifiuti in mare – ha affermato l’ingegnere della Sintol Gian Claudio Faussone – sono prodotti sulla terra e mostrano il risultato della loro cattiva gestione. La plastica raccolta dai fondali, in particolare, non sempre è utile per produrre nuovi oggetti, per questo la migliore idea innovativa è la pirolisi per ricavarne combustibile marino, dal basso contenuto ci CO2. Solo così possiamo adempiere appieno all’economia circolare e arrivare a 0 rifiuti: si tratta di un sistema inclusivo, per cui i pescatori riportano a terra i rifiuti trovati in mare e noi li ricompensiamo con il combustibile da essi ricavato». Un progetto simile è promosso anche dall’istituto tecnologico della plastica AIMPLAS di Valencia, come ha spiegato il biotecnologo Alberto Barranca Jiménez: «Esistono tre tipi di riciclaggio della plastica non meccanici: solvolisi, riciclaggio biologico e pirolisi. Se li sfruttassimo bene diminuiremmo i costi di smaltimento dei rifiuti e potremmo evitare gli 8 milioni di tonnellate di plastica in mare». Hervé Millet, rappresentante dell’associazione europea di produttori di plastica PlasticsEurope, ha convenuto su quanto detto: «Il riciclaggio chimico della plastica è complementare a quello meccanico, qualora questo non fosse possibile. Gran parte di questa materia proviene dagli imballaggi e sarebbe auspicabile poterla riusare anche per il packing alimentare. I rifiuti plastici marini però non sono idonei a tale funzione e la pirolisi è la soluzione migliore».

L’impegno dei porti

Da parte loro le autorità portuali si stanno muovendo nella stessa direzione dei ricercatori: Ángela Cortina, rappresentante della Fishing Vessels’ Owners’ Cooperative of the Port of Vigo – ARVI, ha constatato come gli stessi strumenti da pesca persi accidentalmente in mare costituiscano un rifiuto. «Nessun pescatore abbandona i costosi strumenti, – ha spiegato la dottoressa – per questo quando si trovano in mare bisogna convertirli in nuove risorse. I pescatori non dovrebbero pescare rifiuti, ma quando questi restano impigliati nelle loro reti l’unica soluzione è puntare al riciclo». Jayand Baladie, dell’autorità portuale del porto di Moerdijk, ha manifestato l’impegno dei Paesi Bassi in tal senso: «Nel nostro porto cerchiamo di decarbonizzare l’area e favorire la pirolisi della plastica, ma chiediamo un’agevolazione da parte delle direttive europee volta a semplificare la burocrazia dietro questi processi». Una richiesta ribadita anche da Simona Sangiovanni a nome di ANSEP UNITAM, che ha insistito sulla necessità di essere pragmatici e intuitivi in materia d’ambiente, vista l’urgenza della crisi climatica. A questo proposito sono intervenuti la componente del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Laura d’Aprile e il membro dell’European Commission Paola Migliorini, che hanno sottolineato l’impegno dell’Europa e dell’Italia (con il PNRR) per incrementare le politiche di riciclaggio e semplificare e unificare il sistema burocratico.

Promuovere il progresso

Solo così la ricerca può davvero fare progressi: Blue Pioneers (rappresentata da Rita Sousa) e Telos Impact (nella persona di Baptiste Le Clerc) sono due società di investimenti che promuovono start up e nuove tecnologie per la raccolta, la pulizia e il riciclo della plastica, compresa quella contaminata. La plastica riciclata ha un valore economico e ambientale e bisogna comunicarlo e promuoverlo.